Utili e dividendi nelle Società: l'abuso di maggioranza
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- 20 feb
- Tempo di lettura: 5 min
L’abuso di maggioranza in una società può verificarsi quando i soci di maggioranza deliberano la distribuzione (o la mancata distribuzione) degli utili in modo contrario agli interessi della società o pregiudizievole per i soci di minoranza.

Conflitti tra soci sulla distribuzione degli utili
Abbiamo visto in un precedente articolo che la distribuzione degli utili può essere motivo di conflitto tra soci, specialmente in società con compagine sociale eterogenea. Questo tipo di contrasto si manifesta quando alcuni soci privilegiano la reintegrazione degli utili nell'impresa per garantirne la crescita e la stabilità finanziaria, mentre altri soci spingono per una distribuzione immediata al fine di ottenere un ritorno economico diretto.
La normativa e lo statuto di una società possono in tal caso prevedere regole specifiche per risolvere questo tipo di contrasti.
Nello specifico, l’art. 2479 c.c. disciplina il diritto di voto nelle assemblee delle S.r.l., consentendo ai soci di minoranza di impugnare delibere ritenute lesive dei loro diritti.
L’art. 2479-ter c.c. infine regola l’impugnazione delle decisioni dei soci, prevedendo la possibilità di ricorrere al giudice in caso di violazione delle norme di legge o statutarie.
Questi appena elencati sono degli strumenti che possono servire a riequilibrare gli interessi dei soci e prevenire abusi da parte della maggioranza.
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Cos'è l'abuso di maggioranza
L’abuso di maggioranza può verificarsi in diverse situazioni all’interno di una società. Questo fenomeno si manifesta quando la maggioranza dei soci utilizza il proprio potere decisionale in modo arbitrario o ingiusto, danneggiando la minoranza o la società stessa.
Alcuni esempi possono essere modifiche statutarie penalizzanti per la minoranza, nomina o revoca arbitraria degli amministratori, trasferimenti di beni o risorse a condizioni svantaggiose o persino aumenti di capitale con finalità escludenti.
In sintesi, l’abuso di maggioranza può manifestarsi in molteplici forme, tutte accomunate dall’intento di utilizzare il controllo societario in modo lesivo per la minoranza o per la società stessa.
I soci di minoranza possono difendersi attraverso diversi strumenti previsti dal Codice Civile, tra cui:
Impugnazione delle delibere assembleari (art. 2377 c.c. per le S.p.A. e art. 2479-ter c.c. per le S.R.L.) in caso di violazione della legge o dello statuto.
Azione di responsabilità contro gli amministratori (art. 2476 c.c.) se le decisioni prese dalla maggioranza hanno causato un danno alla società.
Diritto di recesso (art. 2473 c.c.), che consente ai soci di minoranza di uscire dalla società in determinate circostanze, evitando di restare vincolati a decisioni lesive dei loro interessi.
Per quanto attiene al tema del presente articolo, l’abuso di maggioranza può verificarsi quando i soci di maggioranza deliberano la distribuzione degli utili (o la mancata distribuzione degli utili) in modo contrario agli interessi della società o pregiudizievole per i soci di minoranza.
Questo fenomeno può concretizzarsi per esempio quando la maggioranza decide di non distribuire utili pur in presenza di una situazione economica favorevole, al solo scopo di penalizzare i soci di minoranza, o, al contrario, quando la maggioranza impone una distribuzione eccessiva di utili che potrebbe compromettere la stabilità finanziaria dell’azienda.
In tal caso, la normativa contenuta nel Codice Civile contiene degli strumenti per i soci dissenzienti, al fine di tutelare i loro interessi.
La normativa del Codice Civile a difesa dei soci di minoranza
L’art. 2378 c.c. consente ai soci dissenzienti di impugnare le delibere assembleari ritenute illegittime, mentre l’art. 2479-ter c.c. disciplina l'impugnazione delle decisioni dei soci nelle SRL qualora siano contrarie alla legge o allo statuto.
Nel dettaglio, l’art. 2479-ter c.c. sull'impugnazione delle decisioni dei soci nelle SRL, prevede che le decisioni adottate dall’assemblea dei soci di una SRL, o quelle assunte mediante consultazione scritta o consenso espresso per iscritto, possono essere contestate se risultano contrarie alla legge, all’atto costitutivo o se arrecano un pregiudizio agli interessi della società.
L’impugnazione può essere promossa dai soci che non hanno partecipato alla decisione o che hanno espresso voto contrario, nonché dagli amministratori e, se previsto, dal collegio sindacale. A tal fine, è necessario agire entro il termine di 90 giorni dalla trascrizione della decisione nel libro delle decisioni dei soci.
La norma inoltre stabilisce che le decisioni dei soci che abbiano un oggetto illecito o impossibile possano essere impugnate da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni. Ciò significa che non solo i soci, ma anche terzi coinvolti, come creditori o altri soggetti potenzialmente danneggiati, possono contestare tali delibere.
Inoltre, riguardo alle decisioni adottate in assenza assoluta di informazione: se una decisione è presa senza che i soci abbiano ricevuto alcuna comunicazione o informazione al riguardo, essa può essere impugnata entro tre anni, offrendo una protezione maggiore rispetto al termine ordinario.
Infine, la norma prevede un caso ancora più grave, ossia quando una decisione modifica l’oggetto sociale introducendo un’attività illecita o impossibile. In questo caso la norma stabilisce che l’impugnazione può avvenire senza limiti di tempo, riconoscendo che una modifica statutaria di questo tipo è nulla in modo assoluto e non può mai essere considerata valida.
Se il giudice riconosce la fondatezza dell’impugnazione, la decisione impugnata può essere annullata, con possibili effetti retroattivi, a meno che non si ritenga necessario salvaguardare la stabilità della società. E' chiaro che questa norma assume particolare rilievo nelle situazioni di abuso di maggioranza, ossia quando la maggioranza dei soci assume decisioni che penalizzano ingiustamente la minoranza.
Il caso tipico è appunto quello riguardante la politica di distribuzione degli utili: se la maggioranza decide di non distribuire dividendi senza un valido motivo, impedendo ai soci di minoranza di ottenere un legittimo ritorno economico, questi ultimi possono impugnare la decisione per far valere i propri diritti.
Altri principi
L’abuso di maggioranza può anche essere contestato sulla base del principio di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto sociale, tutelando così gli interessi dei soci di minoranza.
Infatti, per quanto riguarda il diritto dei soci alla distribuzione degli utili, il Codice Civile non prevede un diritto assoluto alla percezione degli stessi, ma stabilisce che la distribuzione può avvenire solo se deliberata dall'assemblea e nel rispetto delle disposizioni di legge e statutarie.
Tuttavia, in presenza di un comportamento abusivo da parte della maggioranza che neghi sistematicamente la distribuzione senza giustificato motivo, i soci di minoranza possono agire per ottenere il riconoscimento del loro diritto attraverso l’impugnazione della delibera e, in casi estremi, richiedendo il risarcimento del danno subito. In tali casi, la delibera può essere impugnata per violazione del principio di buona fede e correttezza contrattuale.
Questa è solo una breve guida introduttiva. Per qualsiasi ulteriore approfondimento sul diritto societario è possibile contattarci all'indirizzo email info@cplegalstudio.com o tramite il modulo contatti, oppure consultare la nostra Area Riservata.
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